Ouverture

«I am not sure that I exist, actually I am all the writers that I have read, all the woman I have loved, all the cities I have visited.»

— Jorge Luis Borges

Da qui comincia il viaggio. Dal fascino irresistibile con il quale, un’estate, Borges mi ha rapito, portandomi con sé nel suo labirinto del Minotauro. Ah, quante volte l’ho letto! Perché è di una semplicità disarmante. Attenzione però, non si tratta di elementare accostamento di materiali, bensì di una semplicità studiata, ponderata, costruita per eliminazione. Mai prima d’ora un cambio di prospettiva mi ha così fortemente toccato, ed insieme arricchito nella paziente trepidante attesa della comprensione.

Due cose dell’Aleph porto con me: il sistema circolare della narrazione ed una nota1 che, fra le righe, recitava più o meno così (o perlomeno questa è la mia personalissima appropriazione): evita i sinonimi e semplifica la lingua. In nessun caso un soldato, prima d’entrare in battaglia, ha pronunciato frasi epocali; ed infine ricorda: vi è una profondità di sguardo che non ha bisogno di un linguaggio altisonante.

Ebbene è lì che voglio arrivare.

 

— Note al testo

  1. La nota, in realtà, altri non è che il Prologo del libro Elogio dell’ombra, sempre di Borges (ed. Einaudi). Curiosi i percorsi della mente umana per i quali elementi marginali vanno a fondersi e s’intersecano con quanto di maggiore è rimasto impresso. In tal caso una premessa posta lontana nel tempo – Prologo -, sul libro che maggiormente ho amato – L’Aleph -.